4 settembre 2015

MIGRANTI

Il flusso inarrestabile di migranti che arriva quotidianamente sulle coste italiane ha aperto una gravosa polemica tra le istituzioni e anche tra i cittadini, divisi tra chi li accetta e chi no. Forse non c'è una verità, una ragione assoluta che ci dica che è giusto che arrivino o che è ingiusto il loro sbarco. Sicuramente il migrante, spesso clandestino, che arriva nel nostro paese e compie atti illegali si pone in una posizione che scatena ovviamente ostilità e ribellione da parte degli italiani. Sentimenti oggi maggiormente acuiti dal fatto che l'italiano vive un presente difficile, i soprusi che subisce sono sempre più numerosi e ovviamente è facile accendere la miccia dell'odio, della cattiveria, della ribellione, del gesto folle. Dall'altra parte però sarebbe interessante porsi dalla parte del migrante, immedesimarsi in lui. Spesso costretto a migrare per via delle condizioni economiche, sociali e sanitarie del proprio paese, arriva in un paese straniero completamente incosciente di cosa lo aspetta e di come farà per sopravvivere, soprattutto quando le istituzioni nazionali non aiutano affatto nell'integrazione razziale. Con questo vorrei dire che il migrante si porta dietro, spesso, una storia e una condizione che non conosciamo, fatta di condizioni di vita molto proibitive. Non voglio dire che essere un migrante significa essere un eroe ma assume tutti i connotati di una condizione disperata, di fuga per la vittoria alla ricerca di un futuro migliore, la corsa, forse utopistica e illusoria, verso una vera civiltà che può assicurargli tempi migliori. Noi europei partiamo sempre con un seme di pregiudizio dentro al nostro cuore. A volte questo pregiudizio ha un senso, altre volte è solo un meccanismo automatico che ci scatta dentro. Siamo abituati a pensare a questi migranti come zulù scappati di casa, senza vita, senza personalità, senza lavoro, senza dignità, poi però scopriamo che molti di loro sono magari dottori, lavoratori, laureati nel loro paese d'origine.

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