6 aprile 2012

IL VOLO

Ieri sera ho parlato con i miei genitori. E’ una cosa che faccio raramente, e raramente parlo con entrambi presenti. Era una cosa di cui avevo bisogno, e forse anche loro ne avevano bisogno anche se papà e mamma conoscono i propri figli come loro stessi. Li ho trovati attenti nel seguire quello che volevo dire, gli ho detto le cose che avevo in testa e mi è sembrato giusto con me stesso farlo. Trovo che parlare con mia mamma sia più semplice, mio papà è in realtà una persona molto capace di capire e di ascoltare anche se noi lo prendiamo in giro perché diciamo che non è psicologo. Invece lui è un uomo come me e come tale capisce un suo figlio e per giunta maschio. E’ un momento questo per me molto felice, proprio oggi ho ricevuto una telefonata importante. Non è quella che aspettavo ma il contenuto è il medesimo e si chiama lavoro. Di questi tempi dove il lavoro è un problema (e non dovrebbe invece esserlo) e in questi tempi in cui la crisi economica stringe al collo le persone, io mi sento un miracolato da Dio che mi ha permesso non solo di vincere un concorso ma di essere chiamato per un altro lavoro nel settore pubblico. Il tutto accade proprio nei giorni della Pasqua, i giorni della Resurrezione. Io assolutamente sono un uomo normale ma proprio perché uomo anche io, nel mio piccolo, mi sono portato sulle spalle la mia croce, mi hanno crocefisso e come tutti gli uomini, per grazia di Dio, posso risorgere e innalzarmi. Questo è un miracolo, questo è uno degli aspetti della vita e della fede cristiana. In questi due anni di “resurrezione” fisica e morale, tra le altre cose ho cercato di portare avanti la mia fede, o meglio di essere per lo meno un cristiano onesto con me stesso e possibilmente anche con gli altri. Credo in buona parte di esserci riuscito anche se mi rendo perfettamente conto che il cammino cristiano di una vita è appunto una lunga salita dove quotidianamente abbiamo le nostre croci da portare sulle spalle. In questi giorni di attesa mi sono regalato qualche abito e qualche paio di scarpe, l’ho fatto e non me ne pento perché i soldini li ho guadagnati io e la mia piccola parte di stipendio l’ho data, come è giusto che sia, a mio padre. Inoltre è giusto regalarsi anche dei premi perché la vita deve essere anche gioia, gioia pulita, gioia onesta, gioia sudata. Però mi rendo conto che questi regalini, che potevano essere la console dei videogiochi o un nuovo obiettivo o un viaggio a Berlino, sono una valvola di sfogo in un momento sì felice ma di attesa snervante per l’inizio di una bella avventura. Mi piacerebbe essere un uomo che si accontenta di poco e che vive di poco, un uomo sobrio senza l’assillo delle cose, del possedere, del “bello”. Però, mi rendo conto, è molto difficile tirare un filo di demarcazione in una società come la nostra che è votata all’apparenza e all’esteriorità. E forse non sarebbe non solo impossibile ma neppure giusto, non sono un guru che vive isolato sulla cima della montagna ma un uomo che vive tutti i giorni a contatto con altri uomini. Semmai ho sempre cercato di vivere in modo diverso questa civiltà consumistica ed estetica, preferendo sempre ciò che mi appaga e molto spesso trovando la mia personale soddisfazione nella nicchia o comunque fuori dai canoni della società comune.  

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